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Ricordi della nostra casa distrutta a Gaza [1]

['Haneen Abo Soad']

Date: 2024-04-20 16:09:38+02:00

Il 12 gennaio scorso, ho ricevuto da mia sorella a Gaza un messaggio con notizie devastanti: la casa dei nostri genitori, nostro santuario di ricordi, era stata rasa al suolo dagli F16 israeliani, che l'hanno ridotta in macerie.

Non era una casa come le altre. Tra le sue mura ho mosso i miei primi passi incerti, attraverso le sue fondamenta hanno echeggiato le mie risate e i miei pianti. Era un luogo sacro, nel quale sono cresciuto con i miei amati fratelli, coccolato in un mondo di amore e protezione.

Mentre il peso di tali notizie strazianti si faceva largo, una tempesta di rabbia e frustrazione stava insidiosamente infuriando, minacciando di consumarmi dall'interno. Più tardi quel giorno, col dispiegarsi di ulteriori dettagli, la mole di tale perdita penetrò ulteriormente.

Come la gran parte dei palestinesi, vivevamo accanto ai nostri nonni e zii, prendendoci cura della nostra terra e onorando i nostri legami comunitari. La bomba che ha demolito la casa dei miei genitori ha altresì distrutto l'umile dimora dei miei nonni, un'abitazione fatta di paglia e argilla più di sette decadi or sono. Costruirono tale santuario con le loro stesse mani, un simbolo di resilienza e speranza forgiato all'indomani della fuga dagli orrori e i massacri avvenuti nel loro villaggio, Bayt Tima [en, come tutti i link successivi, salvo diversa indicazione].

Nell'ottobre del 1948, Bayt Tima fu vittima di un'occupazione nel corso della brutale Operazione Yoav eseguita dalla Brigata Givati [it], una squadra sionista in marcia verso sud che, lungo il suo cammino, ha massacrato numerosi contadini. Bayt Tima, un tempo paesino pacifico, divenne l'obiettivo dei bombardamenti aerei e dell'artiglieria, costringendo i suoi abitanti all'esodo.

Nonostante la coraggiosa resistenza dei falaheen (“contadini”) contro la Brigata Negev, altra squadra sionista che ha tentato di occupare il villaggio nei primi di febbraio del 1948, ancor prima della Nakba [it], alla fine la Brigata Givati ha prevalso. Il suo violento attacco ha costato la vita di 20 contadini, distrutto la fonte principale d'acqua e demolito il granaio centrale, colpendo il cuore del sostentamento e lo spirito della comunità.

Devastati e affranti, gli abitanti autoctoni di Bayt Tima, venuti a conoscenza di ulteriori massacri nella nostra amata Palestina, compreso il Massacro di Deir Yassin [it], si sono preoccupati per la loro incolumità e quella delle loro famiglie. Vennero sfollati a Gaza.

Nel tentativo di sopravvivere e ricostruire le proprie vite tra i traumi e i disordini del trasloco forzato, la mia famiglia acquistò un terreno a Gaza e vi costruì una casa. Spesso mia nonna ricorda le paure, l'incertezza e il profondo senso di sconfitta di quel periodo ma, più di ogni altra cosa, l'insopportabile dolore.

Nel corso di tale crudele e duro viaggio dal villaggio, la mia famiglia ha perso molti componenti, anche un figlio, cioè mio zio, il piccolo Mohammed, che morì lungo la strada in fuga verso Gaza.

Spesso mia nonna racconta la storia di mio zio Mohammed, storia che ha funto da testamento di tale incessante dolore:

“When we were fleeing for safety, I sometimes carried Mohammed on my back and sometimes his father did. He was just 8 months old. We walked for many hours, stopping occasionally under a tree to rest and breastfeed. One of these times, he did not respond to my voice when I tried to wake him up.

I called his father over to check on our child. When he saw him, he said, “Allah Yirhamoh,” (“May God have mercy on him”). I screamed ‘No, no! Not Mohammed.’ My breasts were full of milk for the baby that will never drink it, and my heart was crying for a young man that will never be.

I held him high and prayed to God with a burning heart, ‘Ya Allah, ya Allah.’ I clung tight to my beloved Mohammed for more than six hours, unable to let go or believe what had happened. But when I finally found the strength to let go, his father dug a grave for him, somewhere along the road, under a tree, and we returned him to our mother, the earth.

I pleaded with the earth to treat him kindly. He was a sweet child. I asked her to be gentle with him, for she had taken the most precious thing I owned — the soul of my soul.

We barely had a few minutes to say goodbye, when the Israeli gangs started getting closer and shooting at us. They took away everything from us, even our final goodbye.”

[END]
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[1] Url: https://it.globalvoices.org/2024/04/ricordi-della-nostra-casa-distrutta-a-gaza/

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